Consulenze condominiali
Sempre più frequentemente, tra i giovani ma non solo, vengono avviate strutture ricettive a conduzione ed organizzazione familiare, i così detti “Bed and Breakfast.
Si tratta di attività portate avanti da privati, che forniscono alloggio e prima colazione utilizzando parti della stessa unità immobiliare purché funzionalmente collegate e con spazi familiari condivisi (Codice del Turismo, D. Lgs. n. 79/2011 art. 9). Prima di avviare tale attività è fondamentale verificare che il regolamento condominiale non contenga divieti in proposito, e quindi accertarsi che la destinazione delle unità immobiliari possa essere liberamente decisa dal condòmino. E’ quindi indispensabile leggere attentamente il regolamento condominiale, soprattutto se “Contrattuale” e cioè richiamati nei rogiti di acquisto ovvero in alternativa, divieti e limiti di destinazione delle proprietà esclusive possono essere formulati nei regolamenti mediante elencazione delle attività vietate o mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. Solo un divieto espresso e categorico nel regolamento può, quindi, rendere illegittima l’apertura dell’attività di B&B nell’edificio. La Cassazione sentenza n. 21562/2020 ha chiarito che qualora il regolamento vieti le attività commerciali all’interno dello stabile, non sarà possibile avviare l’attività di B&B, in quanto «(…) pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, presenta natura a quest’ultima analoga, comportando, non diversamente da un albergo, un’attività imprenditoriale, un’azienda ed il contatto diretto con il pubblico». La sentenza n. 21562/2020 della Corte di Cassazione, infatti, stabilisce che l’attività di affittacamere o B&B deve essere considerata contrapposta alle finalità abitative dell’immobile, mentre rientra in toto nelle attività commerciali vietate dal condominio, in quanto assimilabile a quella alberghiera. B&B e affittacamere non possono rientrare nel normale uso abitativo, in quanto per lo svolgimento delle proprie attività, prevedono il pagamento di un corrispettivo per soggiorni più o meno brevi, nonché la somministrazione di prestazioni di servizi personali (pulizia dei locali, fornitura di biancheria da letto e da bagno, ecc.). Qualora il regolamento contrattuale, quindi, contenga la disposizione che vieti le attività commerciali è illegittimo svolgere l’attività di affittacamere compresa quella identificabile in un B&B in tutto e per tutto assimilabili alle attività imprenditoriali alberghiere a nulla rilevando le ridotte dimensioni, in quanto non diversamente dall’albergo si configurano come un’attività connotata da una impresa e dal contatto diretto con il pubblico. Resta inteso che le clausole del regolamento, che impongono restrizione ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, sono opponibili anche ai conduttori delle singole unità. Le logiche che portano ad inserire in un regolamento condominiale un esplicito divieto, sono quelle che mirano alla tutela del decoro e della tranquillità dell’edificio.
Il divieto del regolamento condominiale, per avere effetto, deve essere quindi esplicito e chiaro, riferendosi in modo specifico alle attività di B&B: La clausola che implica detto divieto deve essere trascritta con nota separata rispetto al regolamento, affinchè l’acquirente si renda consapevole del tipo di divieto che, ovviamente, limiterà la sua proprietà esclusiva. (A tal proposito la Corte di Cassazione con sent. n. 21024/2016 ha previsto la necessità della trascrizione di queste limitazioni nell’atto immobiliare, come previsto dagli articoli 2659 e 2665 c.c.). È, quindi, prerogativa dei regolamenti condominiali di tipo “contrattuale”, approvati all’unanimità o allegati agli atti di compravendita, includere clausole che limitano l’utilizzo delle unità immobiliari per attività come pensioni, alberghi, affittacamere e B&B.
Tali restrizioni, quindi, influendo sui diritti individuali dei proprietari, sono considerate servitù atipiche e richiedono una registrazione formale. Più in generale la giurisprudenza ha affermato che divieti e limiti di destinazione delle proprietà esclusive, mediante elencazione delle attività vietate o mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze e/o interpretazione estensiva delle relative norme, trattandosi di materia che attiene alla ————————————————– ————————————————– compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini (Cass. n. 9564/1997; Cass. 24707/2014).
Si cita la sentenza del Tribunale di Milano n. 1469/2021, in tema di attività di affittacamere/ foresteria. Nello specifico caso, il Condominio agiva per l’immediata cessazione dell’attività di affittacamere/ foresteria nell’unità immobiliare oggetto di causa, sull’assunto che detta attività rientrasse nel divieto condominiale di adibire gli appartamenti a sedi “di pensioni o alberghi”.
Secondo il proprietario dell’unità immobiliare convenuto in giudizio, l’attività svolta dal suo conduttore rientrava invece nella fattispecie di “bed&breakfast” o in quella di “affittacamere”, diversa da quella di albergo o pensione e dunque non vietata dal regolamento condominiale. Tenuto conto delle circostanze emerse in giudizio, ovvero che l’attività svolta, oltre alla fornitura di alloggio temporaneo comprendesse una serie di attività complementari all’alloggio, quali: la prima colazione; la fornitura e cambio di biancheria da camera e da bagno; il wi-fi; l’aria condizionata; il servizio di deposito bagagli; il servizio di lavanderia; il servizio navetta da e per gli aeroporti e le stazioni, il Tribunale di Milano ha accolto la domanda del Condominio e ordinato alla controparte di cessare immediatamente l’attività precisando che “va ritenuto che la messa a disposizione dell’appartamento del convenuto con i sopra richiamati servizi accessori ulteriori e caratteristiche della attività recettizia, ulteriori e maggiormente articolati e qualificati rispetto alla semplice fornitura di un alloggio, integri una attività che, in considerazione dell’evoluzione del costume sociale, è del tutto sovrapponibile a quella di “di pensioni od alberghi”, oggetto del divieto di destinazione delle unità abitative site nel Condominio attore, previsto dalla clausola contrattuale in esame (sul punto Cass. n. 109/2016; Cass. n. 704/2015; Cass. n. 22665/2010)”
Le fonti normative a tutela degli animali domestici:
L’art. 16, comma 1, lett. b), della L. 11 dicembre 2012, n. 220, ha introdotto una grande innovazione in materia di diritto dei condomini e conduttori a tenere animali in appartamenti in condominio, introducendo il 4° comma dell’articolo 1138 del C.C., il quale recita: “Le norme del regolamento di condominio non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
L’art. 11 della Legge Regionale 34/97 dispone che i gatti che vivono in libertà (considerati “bene indisponibile dello Stato”) non possono essere maltrattati, né spostati dall’habitat nel quale vivono, qualunque esso sia. Lo stesso concetto è ribadito dall’art. 2 della Legge Nazionale n. 281/91.
L’art. 727 del Codice Penale, prevede che chiunque maltratta animali, commette un reato, nei confronti del quale è competente ad intervenire qualsiasi organo di polizia giudiziaria: Carabinieri, Polizia, Vigili Urbani, ecc. Tale norma si estende anche agli uccelli (ad es. ai piccioni), e anche nelle aree condominiali, che sono i luoghi in cui maggiormente nascono conflitti tra gli “amanti in senso assoluto dei citati animali” e coloro che li amano ma li vorrebbero vedere fuori dal Condominio.
Domanda: Le disposizioni contenute nel citato 4° comma dell’art. 1138 del C.C. valgono anche in caso di regolamenti preesistenti all’entrata in vigore della legge 220/2012, o in caso di regolamenti contrattuali (cioè approvati da tutti i condomini in un’assemblea plenaria o allegati ai rogiti di acquisto delle unità immobiliari in condominio)?
Risposta: Qui dottrina e giurisprudenza non sono unanimi, in quanto una parte ritiene che,anche se l’articolo di legge citato non ha di per se efficacia retroattiva, il diritto inalienabile a detenere animali, sancito anche dalla costituzione e dalle norme sovranazionali, prevale rispetto alla irretroattività della norma e alla contrattualità del regolamento condominiale. Ad esempio, il Tribunale di Piacenza, con sentenza del 22/11/2016, n.527, ha sancito che “la previsione di cui all’art. 1138, ultimo comma, c.c. , secondo cui le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici, deve ritenersi applicabile indipendentemente dalla natura dell’atto (regolamento contrattuale ovvero assembleare) che contenga eventuali disposizioni contrarie e indipendentemente dal momento della formazione di tale atto (prima o dopo la novella del 2012)”. Di tale avviso anche la Cassazione civile, Sez.II, 9 novembre 1998, n. 11268, che si è pronunciata a favore dell’impossibilità del regolamento di vietare la detenzione o il possesso di animali domestici. E ancora: “non è possibile impedire ai condomini di tenere animali domestici, anche se tale divieto è previsto nel regolamento condominiale approvato all’unanimità” (Tribunale Cagliari sez. II, 22/07/2016). Di avviso contrario altra parte della dottrina, la quale ipotizza che in virtù del principio generale di irretroattività delle leggi, la norma non possa applicarsi ai vecchi regolamenti contrattuali trascritti che già prevedessero il divieto. Allo stato, la disposizione dell’art. 1138 comma 4 c.c. sembra avere portata inderogabile, come ritiene parte della giurisprudenza di merito e di legittimità, così da costituire un limite invalicabile al potere regolamentare, con conseguente nullità di clausole contrarie al precetto legislativo, siano esse contrattuali o assembleari.
Domanda: A fronte dei sacrosanti diritti degli animali e dei loro padroni, quali garanzie sono previste per la tutela dell’igiene e della quiete nel Condominio?
Risposta: L’art. 844 del Codice Civile, prevede che le immissioni di rumori e di esalazioni devono essere tollerate, ma entro un certo limite, oltre il quale chiunque può, con un procedimento d’urgenza previsto dall’art. 700 del Codice di procedura civile rivolgersi ad un giudice per ottenere la cessazione della turbativa. Ribadendo che, secondo la recente giurisprudenza (cfr. anche Cassazione civile sez. II, 20/01/2023, n. 1823 ) il regolamento condominiale non può fungere da limitazione alla proprietà privata, l’esercizio di tale diritto deve essere giustamente contemperato dal pari diritto dei condomini a non subire “immissioni moleste” (quali, ad esempio, latrati ininterrotti ovvero odori di escrementi non tollerabili). La turbativa deve essere dimostrata e limitare effettivamente il diritto degli altri condomini a non subire immissioni rumorose o maleodoranti: ad esempio, un cane che abbaia tutto il giorno, perché si sente abbandonato e non è stato addestrato ad aspettare serenamente il ritorno a casa del padrone, certamente può configurare una turbativa grave per gli altri condomini; un cane che ogni tanto abbaia per qualche minuto, certamente no.
Domanda: Come conciliare la presenza dei gatti che vivono liberi nel Condominio, con l’igiene e la tranquillità?
“L’Ufficio Diritti Animali del Comune di Roma” dà i seguenti consigli: Somministrare cibo di buona qualità, per evitare che gli animali possano ammalarsi;Somministralo ad orari regolari, per facilitare le operazioni di pulizia, di somministrazione di farmaci e per poter fare una stima dell’esatto numero dei soggetti. L’art. 13 della legge 63/88, prevede infine, che i gatti che vivono in libertà siano sterilizzati dall’unità sanitaria locale di loro competenza.
Domanda: Come si può tutelare il locatore nei confronti del conduttore che detiene animali che causano gravi immissioni moleste nei confronti degli altri coinquilini dello stabile?
Risposta: In merito è intervenuto il Tribunale di Bergamo, Sezione Civile n. 3 che, con sentenza del 19 aprile 2024, n. 975, ritenendo che i comportamenti del conduttore integrassero grave inadempimento, perché non gestiva i “latrati continui” degli animali ovvero non evitava che potessero arrecare disturbo alla quiete condominiale, lo condannava alla risoluzione contrattuale ed alla restituzione dell’immobile locato. Peraltro, il diritto a detenere un animale domestico non può che includere anche l’esercizio di tutte le facoltà connesse, come quella di transitare nelle parti comuni ferma la possibilità di ricorrere a tutte le forme di tutela previste dall’ordinamento in caso di patimento di danni dall’animale.
Domanda: “Amministro il condominio dove abito, e purtroppo ultimamente si sono presentate infiltrazioni di acqua in diverse unità immobiliari, in una delle quali la situazione è piuttosto grave, dato che la forte umidità rischia di compromettere la salute di un condomino cardiopatico.
Il fabbricato è ancora in garanzia, relativamente ai gravi vizi di costruzione (art. 1669 del Codice Civile), quindi il condominio vorrebbe rivalersi legalmente nei confronti del Costruttore, per ottenere la sua condanna all’eliminazione dei vizi e al rimborso delle spese di ripristino delle unità immobiliari danneggiate.
Ho saputo, però, da un Amministratore professionista, che fino a quando non si sono concluse le azioni peritali, è rischioso eseguire riparazioni, perché la controparte potrebbe eccepire la manomissione del piano di copertura; tra l’altro, quasi sicuramente la spesa sostenuta non verrebbe rimborsata.
Sono altresì a conoscenza del fatto che le azioni peritali e le fasi che le precedono possono durare anche anni: esiste un sistema per velocizzare la procedura relativa alle azioni peritali da parte del tribunale?”
Risposta: “Certamente, e sono tre:
A) Procedura d’urgenza, ex art. 700 del Codice di Procedure Civile (C.P.C.). Il Giudice accoglie questa procedura solo in casi molto gravi di pericolo di crollo del fabbricato o di parte di esso. Quindi è sconsigliata nel Suo caso. B) Accertamento tecnico preventivo, ex art. 696 del C.P.C. Con questa procedura il Condominio, prima del giudizio, chiede al Giudice, tramite un legale, la nomina di un Consulente Tecnico d’Ufficio (C.T.U), che prenda visione delle problematiche e, se c’è urgenza, il Condominio può ottenere dal Giudice l’autorizzazione ad eseguire subito i lavori, anticipando le relative spese, e riservandosi poi di adire le vie legali per ottenerne il rimborso. C) Consulenza tecnica preventiva, ex art. 696 bis (di recente introduzione). Con questa procedura, il Condominio chiede al Giudice di nominare un C.T.U. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma
specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale è esente dall’imposta di registro. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.”
A cura del dott. Stefano De Filippis
Domanda: “Sono un condomino che ha partecipato ad un’assemblea, ma ad un certo punto mi sono allontanato dalla stessa: l’assemblea è ancora valida?
Risposta “L’argomento è disciplinato dall’art. 1136 c.c., che prevede che l’assemblea è regolarmente costituita nel momento in cui il presidente, nominato dai presenti a maggioranza, abbia constatato che tutti gli aventi diritto siano stati regolarmente convocati (6° comma del citato articolo), conteggiando i presenti in assemblea (sia di persona che per delega), verbalizzando il numero dei partecipanti con l’indicazione dei millesimi delle rispettive proprietà. Che spettino al presidente i poteri di direzione e controllo dello svolgimento della riunione e quindi, nello specifico, la verifica della regolarità delle convocazione a nome dell’assemblea, è un punto fermo della Giurisprudenza anche di legittimità (Cass. 22958/2022, Cass. 40827/2021). La Giurisprudenza è altresì pacifica nel ritenere che l’allontanamento di alcuni degli intervenuti dopo la regolare costituzione dell’assemblea dei condòmini, non incide sulla determinazione del quorum costitutivo, dovendo a tal fine aver riguardo unicamente al momento iniziale della riunione. Uno o più condomini che si allontanano dalla riunione assembleare non pregiudicano l’accertata regolarità della costituzione dell’assemblea (Vedasi Tribunale di Frosinone sent. n. 648/2023).
Domanda: “Quanto al quorum deliberativo, il condomino allontanatosi dall’assemblea incide sulla formazione della delibera assembleare?
Risposta: “Chi si allontana dall’assemblea deve avvertire il presidente, il quale ne fa prendere atto al segretario che lo verbalizza. Se l’assenza non viene segnalata e si tiene conto del condòmino nel calcolo dei quorum, la deliberazione assunta dall’assemblea è annullabile (art. 1137 c.c.). Diversamente, se il quorum deliberativo fosse stato raggiunto, indipendentemente dalla volontà del condòmino allontanatosi, la delibera rimane efficace. La giurisprudenza in ciò ha un orientamento consolidato: infatti, prevede che l’allontanamento di alcuni degli intervenuti dopo la regolare costituzione dell’assemblea dei condòmini di un edificio, non incide sulla determinazione del quorum costitutivo, dovendosi aver riguardo a tal fine unicamente al momento iniziale della riunione.
Domanda: “Allontanandomi dall’assemblea ho dichiarato di essere d’accordo con tutte le delibere assunte dalla maggioranza: ciò ha validità ai fini del calcolo della mia persona e relativi millesimi?”
Risposta: “Ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. non si può tenere conto della adesione espressa dal condòmino che si sia allontanato prima della votazione, dichiarando di accettare la decisione della maggioranza. L’assenza produce effetti pregiudizievoli che possono evitarsi solo con la trascrizione a verbale dell’ora di abbandono dell’assemblea e, nel caso l’allontanamento fosse temporaneo, di quella dell’eventuale ritorno. In tal caso, le decisioni prese nello spazio temporale in cui il soggetto non è presente, sono impugnabili ai sensi dell’art. 1137 c.c. Relativamente all’allontanamento di un condòmino da un’assemblea in corso, ai fini del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi, si veda l’ordinanza della Cassazione n. 4191/2024: “Qualora un condòmino ad un certo punto – nel corso della celebrazione di un’assemblea condominiale – si allontani e tale circostanza viene fatta annotare sul verbale, se è incontrovertibile che l’allontanamento non incide sui quorum costitutivi (che devono sussistere al momento iniziale), tale circostanza incide, altrettanto indiscutibilmente, su quelli deliberativi relativamente ai singoli punti all’ordine del giorno (nonché sui diritti dei distinti condòmini) rispetto ai quali il singolo o più condòmini abbiano deciso di non prendere parte alla discussione e alla conseguente delibera, e, quindi, di non partecipare alla votazione, rimanendo del tutto irrilevante la possibile udibilità dall’esterno (…) del locale di svolgimento dell’assemblea delle determinazioni che la stessa ha inteso adottare in proposito”.
Domanda: “Volendo impugnare la delibera assembleare; il termine entro il quale procedere è di 30 giorni, che decorrono da quando?
Risposta: “Essendosi Lei allontanato dall’assemblea, tale termine decorre dalla data di ricevimento del verbale assembleare, in quanto la Cassazione ha ritenuto che il condòmino, presente in assemblea ma che abbia manifestato la sua volontà di non partecipare alla votazione di uno o più punti inseriti nell’ordine del giorno, deve essere considerato assente tutti gli effetti. Ciò anche se lo stesso condòmino si sia mantenuto a distanza tale da consentirgli di seguire lo sviluppo della discussione e della votazione. Ribaltando le sentenze di primo e secondo grado, per la Suprema Corte il condòmino andava considerato propriamente “assente” all’atto dell’adozione della delibera, quindi il termine per impugnarla non si sarebbe potuto considerare decorrente dallo stesso giorno di assunzione della delibera. Per valutare la decorrenza del termine perentorio di trenta giorni per proporre l’impugnativa, il giudice dell’Appello aveva rilevato che esso sarebbe dovuto partire dallo stesso giorno in cui la delibera in oggetto era stata approvata, poiché solo formalmente abbandonata dal condòmino, non partecipando al voto, “ma assistendo ad essa sulla soglia della porta così prendendo coscienza di quanto accaduto e quindi deciso dall’organo collettivo”, onde
l’impugnativa formulata successivamente dal condomino delegante si doveva ritenere tardiva e, di conseguenza, inammissibile. La Cassazione ha sostenuto il principio secondo il quale il condòmino, pur avendo partecipato all’assemblea condominiale, prima dell’adozione della delibera assembleare oggetto dell’impugnativa, si era allontanato dal locale in cui si stava svolgendo l’assemblea, manifestando tale sua volontà e non partecipando alla conseguente votazione. In quanto “assente”, il termine di impugnativa della relativa delibera non si sarebbe potuto considerare decorrente dallo stesso giorno di assunzione della deliberazione e, quindi, dello svolgimento dell’assemblea, come invece erroneamente rilevato, dalla Corte di Appello. È del tutto irrilevante la possibile udibilità dall’esterno, da parte del condòmino, preventivamente allontanatosi dal luogo di svolgimento dell’assemblea, delle determinazioni che questa ha inteso adottare in proposito.”
di Stefano De Filippis
LE FONTI NORMATIVE:
L’art. 1129 del Codice Civile stabilisce che “Quando i Condomini sono più di otto l’Assemblea nomina un Amministratore”. Questo articolo del Codice civile è reso inderogabile dall’art. 1138 del citato Codice.
COSA ACCADE NEL MOMENTO IN CUI LA RISERVA DI NOMINA DELL’AMMINISTRATORE DA PARTE DEL COSTRUTTORE E’ INSERITA NEL REGOLAMENTO CONTRATTUALE DI CONDOMINIO O NEL ROGITO DI ACQUISTO?
Tale riserva è nulla, appunto perché contraria ad una norma di legge inderogabile. La citata nullità è stata confermata dalla sentenza della Corte di Cassazione del 3/8/66 n° 2155 e della recente sentenza del Tribunale di Roma, sezione 5 civile del 31 maggio 2023, n. 8590. Quest’ultimo precisa che la nomina dell’amministratore è diritto inderogabilmente riservato all’organo assembleare; inoltre, l’adito Tribunale ha ritenuto nulla la nomina anche in ragione della mancata specificazione da parte dell’amministratore, all’atto dell’accettazione, dell’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta così come imposto dall’art. 1129, terzultimo comma, cod. civ.
QUALE RUOLO RICOPRE, QUINDI, LA FIGURA NOMINATA DAL COSTRUTTORE IN ATTESA DELLA NOMINA ASSEMBLEARE, ED E’ LECITO CHE GLI VENGANO RIMBORSATE LE SPESE DA LUI SOSTENUTE PER LA MANUTENZIONE DEL CONDOMINIO?
E’ lecito che il costruttore nomini un “Gestore” del condominio fino a quando i Condomini sono in numero inferiore o uguale ad otto. Superato tale numero, il “Gestore” deve convocare un’Assemblea per discutere almeno la nomina dell’Amministratore e un preventivo di spesa per l’anno in corso.
Nel frattempo, però, il Gestore sostiene delle spese le quali, se regolarmente giustificate con fatture intestate al Condominio, gli andranno rimborsate dai Condomini in proporzione ai valori millesimali di ognuno.
COSA POSSONO FARE I CONDOMINI PER NOMINARE UN AMMINISTRATORE DI LORO FIDUCIA, LIBERANDOSI DA QUELLO PREPOSTO DAL COSTRUTTORE?
In base all’art. 66 delle disposizioni per l’attuazione del Codice Civile, i Condomini possono richiedere all’Amministratore un’assemblea straordinaria in cui discutere tutti gli argomenti di loro interesse; tale richiesta deve essere fatta da almeno due Condomini che rappresentino almeno un sesto del valore dell’edificio (167 millesimi). Se l’Amministratore non provvede entro dieci giorni, possono provvedervi gli stessi Condomini richiedenti, sempre in base al citato articolo di legge.